Il divario retributivo di genere (Gender Pay Gap) nell’Unione Europea si attestava al 12% nel 2023 (ultimo dato diffuso in maniera ufficiale da Eurostat). Questo dato indica che le donne, a parità di ruolo, guadagnano in media il 12% in meno all’ora rispetto agli uomini, anche se le variazioni sono significative tra i vari Paesi dell’UE.
Si passa ad esempio dal 19% della Lettonia al –0,9% del Lussemburgo (unica Nazione in cui le lavoratrici percepiscono una busta paga più elevata rispetto agli uomini). In Italia è pari al 4,3%, uno dei più bassi dell’intera eurozona insieme alla Romania (4,5%). In Spagna tocca l’8,7%, in Francia raggiunge il 13,9%, in Gran Bretagna è pari al 14,9%, in Germania si spinge fino al 17,7%.
Il fenomeno è purtroppo annoso e ha un notevole impatto sulla produttività e l’operatività, oltre che sull’innovazione e la crescita delle imprese. Proprio per questo motivo è importante lavorare a un cambio culturale, attraverso percorsi di formazione per il personale e il management delle aziende, con politiche interne aziendali basate sulla valorizzazione del personale e sull’inclusività.
Entro giugno 2026 tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia saranno obbligati a recepire la Direttiva UE 2023/970, la quale stabilisce “prescrizioni minime intese a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra uomini e donne”.
Perché esiste il gender gap salariale?
Il divario retributivo di genere misura un concetto più ampio della discriminazione salariale e comprende un gran numero di disuguaglianze che le donne devono affrontare nell’accesso al mondo del lavoro, nella progressione di carriera e nella retribuzione. In particolare di:
- Segregazione settoriale: circa il 24 % del divario retributivo di genere è legato alla sovrarappresentazione femminile in settori solitamente poco remunerativi, come l’assistenza, la sanità e l’istruzione.
- Ripartizione ineguale del lavoro retribuito e non retribuito: le donne hanno più ore di lavoro settimanali rispetto agli uomini, ma dedicano più ore al lavoro non retribuito, un fatto che potrebbe anche influenzare le loro scelte di carriera. Per questo motivo l’UE promuove la ripartizione equa dei congedi parentali, un’adeguata offerta pubblica di servizi di assistenza all’infanzia e politiche aziendali in materia di orari di lavoro flessibili.
- Il cosiddetto “soffitto di cristallo”: la posizione occupata influisce sul livello retributivo e meno di un amministratore delegato su dieci delle principali aziende è una donna. La professione con le maggiori differenze di retribuzione oraria nell’UE è proprio quella dei dirigenti: le manager percepiscono in media il 23 % in meno rispetto agli uomini.
- Discriminazione salariale: in alcuni casi, le donne guadagnano meno degli uomini per lo stesso lavoro o per uno di pari valore, anche se il principio della parità di retribuzione è sancito dai trattati europei (articolo 157 TFUE) dal 1957.
Qual è la situazione in Italia e come ridurre il gender pay gap
Il divario salariale di genere nel nostro paese è pari al 4,3%, secondo i dati diffusi da Eurostat relativi al 2023, ma il Rendiconto annuale di genere dell’Inps riporta altri numeri: le donne in Italia ricevono stipendi inferiori di oltre il 20% rispetto ai colleghi uomini. Nello specifico il divario è consistente nei settori finanziari e assicurativi (32,1%), nel commercio (23,7%) e nel settore manifatturiero (20%).
Per ridurre il gender pay gap si può puntare sulla trasparenza salariale e sugli incentivi all’occupazione femminile, lavorando su misure di welfare e su soluzioni che permettano di bilanciare al meglio il lavoro e la vita privata. Politiche interne, formazione ai colleghi sui temi della gender equality e adozione di un linguaggio consapevole, sono passaggi importanti all’interno di un’impresa per abbracciare una cultura inclusiva.
Cosa prevede la Direttiva UE sul divario salariale di genere e come adeguarsi
La Direttiva Europea punta sulla trasparenza salariale: la parità retributiva è fissata da tempo in molte normative, ma la corretta applicazione può essere minata da politiche poco chiare in questa materia. Per recepirla correttamente, le aziende sono tenute a:
- Gestire in maniera trasparente i processi di assunzione e di avanzamento di carriera, tramite annunci di lavoro non discriminatori e parametri oggettivi nelle valutazioni delle performance.
- Comunicare i compensi medi dei ruoli di pari valore.
- Introdurre sistemi retributivi neutri, che non discriminino lavoratori e lavoratrici.
- Rendicontazione obbligatoria sul divario salariale. La certificazione della parità di genere è uno strumento che permette alle aziende di dimostrare il proprio impegno per la sostenibilità sociale anche sui luoghi di lavoro. Vengono valutati vari aspetti dell’organizzazione: le politiche retributive, le opportunità di carriera per le donne, le condizioni di lavoro.
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Il 1° giugno 2026 entrerà in vigore la Direttiva UE sulla trasparenza retributiva, una normativa che prevede che i datori di lavoro adottino delle nuove procedure di rendicontazione salariale. La misura introdotta dal Consiglio Europeo punta a fornire un contributo concreto al raggiungimento della parità di salario e si configura come leva per l’equità interna, la sostenibilità del Mercato del Lavoro e il posizionamento competitivo.
Le imprese sono chiamate ad attuare una ricognizione esaustiva delle proprie strutture retributive, al fine di eliminare ogni potenziale disparità non correlata a performance, responsabilità o skillset. È essenziale formalizzare criteri oggettivi per la definizione dei livelli salariali e comunicare, in modo articolato e trasparente, le metodologie decisionali adottate.
L’adempimento a questa direttiva non è solo un obbligo legislativo, ma un investimento importante per rafforzare la brand reputation e attrarre i migliori talenti. La Direttiva UE offre l’opportunità di aumentare la fiducia con i dipendenti, modernizzare le pratiche aziendali, migliorare la reputazione dell’azienda e colmare il divario retributivo di genere.
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